La Locanda della memoria di Reggio Emilia

La Locanda della Memoria di Reggio Emilia dal 2009 raccoglie le testimonianze degli anziani grazie a un gruppo di biografi volontari. Un progetto unico in Italia, che dal 2011 è stato preso in carico dall’associazione Emmaus che si occupa di volontariato domiciliare, e che ha coinvolto prima gli anziani del quartiere di Rosta Nuova – Polo Territoriale Sud e poi si è allargato a tutta la città.

Ce lo ha raccontato Gianpietro Bevivino, che ha seguito il progetto sin dalla prima edizione e ora ne è il coordinatore.

C’è stato un tempo in cui, nelle serate fredde, le comunità si radunavano intorno al tepore del caminetto e per passare il tempo i vecchi raccontavano ai nipoti quello che avevano conosciuto. Le storie si tramandavano di caminetto in caminetto, di generazione in generazione, e diventavano patrimonio comune.

Oggi le case hanno i termosifoni, i ragazzi trascorrono il tempo in altri modi e gli anziani hanno sempre meno occasioni di raccontare le loro storie, per questo un progetto come la Locanda della memoria di Reggio Emilia ha una valenza sociale enorme.

I racconti degli anziani sono stati pubblicati in una serie di volumi, andando a costituire una piccola biblioteca che nel tempo ha raggiunto il numero considerevole di 182 biografie: 61 uomini e 121 donne di età variabile dai 74 ai 101 anni, e che con le 18 biografie in corso di realizzazione arriverà a quota 200 libri nel 2024.

La scelta è stata quella di privilegiare le testimonianze degli anziani più fragili o vulnerabili, a forte rischio di isolamento per aver perduto gli affetti o per impedimenti fisici.

Per recuperare queste persone, dando loro la voglia di raccontarsi, si decise di usare lo strumento dell’intervista autobiografica. Gli anziani venivano affiancati da volontari, non parenti, ma vicini di casa, abitanti del quartiere o del condominio, con il compito di raccogliere e trascrivere le loro memorie. Fino ad oggi, i volontari sono stati 90.

La raccolta delle testimonianze si svolge in genere nel giro di quattro incontri di un’ora ciascuno. Il rapporto tra anziano e biografo è asimmetrico e a vantaggio della persona che racconta la sua storia, che ha diritto di parlare, tacere, aggiungere, togliere quel che vuole. Il biografo, invece, ha solo doveri: mantenere un ascolto non giudicante, essere neutro rispetto al racconto, far sì che non vi siano interferenze con quanto ascoltato. Alla fine degli incontri, le registrazioni delle testimonianze vengono trascritte e fatte leggere all’intervistato, che a quel punto decide se accettare la loro pubblicazione.

“Si dice che l’autobiografia abbia una valenza terapeutica per il corpo e per lo spirito di chi si racconta”

“Si dice che l’autobiografia abbia una valenza terapeutica per il corpo e per lo spirito di chi si racconta” ci dice Gianpietro Bevivino, “e noi lo abbiamo potuto sperimentare sul campo, vedendo l’anziano condividere e mettere a nudo il proprio vissuto”. Un vissuto a volte traboccante di gioia, a volte permeato di sofferenza, raccontato talvolta in modo rarefatto oppure con abbondanza di dettagli che riportano in vita eventi di infanzie ormai lontanissime nel tempo, e poi “frequenti prolungati silenzi di fronte a porte che non si sarebbero volute aprire, preludio di necessarie riconciliazioni con lontani vissuti, volutamente o forzatamente accantonati”.

Per molti degli anziani coinvolti, l’inizio è spesso titubante e incerto: è comune il timore che la loro storia non importi a nessuno e che non abbiano niente di interessante da raccontare. In realtà ognuno di loro è pieno di vicende e fatti che aspettano solo di essere ascoltati, ma la reticenza e la scarsa abitudine a parlare di sé sono ostacoli duri da superare. Ripercorrere la propria vita, raccontarla a un estraneo, scegliere cosa portare alla luce e cosa lasciare nell’ombra, per molti è un percorso lungo e difficile.

Ma quasi ogni volta l’esito è lo stesso, e si definisce man mano che si instaura una relazione di fiducia con i biografi volontari: la riattivazione della memoria è anche una riscoperta di sé, un recupero della propria vita e un desiderio di tramandarla a chi verrà dopo.

“Durante le interviste mi sono sentito benissimo perché mi hanno consentito di portare alla mente tutte le mie piccole cose che ho voluto raccontare per lasciare la storia ai miei figli e ai miei nipoti”

“Durante le interviste mi sono sentito benissimo perché mi hanno consentito di portare alla mente tutte le mie piccole cose che ho voluto raccontare per lasciare la storia ai miei figli e ai miei nipoti” diceva Domenico, uno degli anziani che aveva partecipato al progetto, “ed è a loro che la dedico, così hanno un ricordo del nonno e di come ha vissuto le proprie convinzioni”. Domenico aveva seguito con entusiasmo le indicazioni della volontaria che raccoglieva le sue memorie ed era ansioso di essere presente al momento della consegna della biografia, ci racconta Gianpietro Bevivino, ma era anche preoccupato di non farcela ad arrivare per i suoi gravi problemi di salute. Alla fine era riuscito a partecipare alla cerimonia pubblica di fine percorso e aveva parlato di quanto era stato importante per lui partecipare al progetto. Domenico sarebbe morto solo una settimana dopo il giorno della cerimonia, ma come ci dice Gianpietro, “nulla mi toglie dalla testa che la Locanda della Memoria abbia contribuito a regalargli qualche mese di vita”.

Le biografie raccolte in quasi quindici anni di attività dalla Locanda della memoria di Reggio Emilia raccontano di emozioni, passioni, incontri, mestieri spariti. Dalla staffetta dodicenne che ingoiava i messaggi quando veniva fermata dai soldati tedeschi, alla levatrice di Novellara che ha aiutato a venire al mondo generazioni di suoi compaesani, dal calciatore che ha dato del “cavron” a Pelè alla coppia sordo-muta che si è voluta raccontare: storie che restituiscono un ritratto autentico e ricco di sfaccettature della vita di una comunità.

Spesso le storie sorprendono anche i volontari, mentre scoprono aspetti nuovi e inattesi di persone che pensavano di conoscere. “Quante rampe di scale hanno rappresentato per anni barriere invalicabili!”, ricorda Gianpietro: spesso infatti non si ha idea di chi siano davvero le persone che vivono accanto a noi e con cui ogni mattina scambiamo un fugace buongiorno sul pianerottolo.

Le testimonianze della Locanda della Memoria sono state raccolte in cofanetti e donate alle biblioteche di Reggio Emilia, alle residenze per anziani e ai centri sociali della città, e sono anche consultabili in rete in versione digitale.

Da alcuni anni le copertine dei libri e dei cofanetti vengono illustrate dagli studenti del Liceo artistico Chierici di Reggio Emilia, che hanno modo di esprimere la loro creatività conoscendo la memoria dei nonni: un passaggio di consegne intergerenazionale che è un altro degli scopi fondamentali del progetto.

Oltre alle pubblicazioni cartacee, negli anni si è cercato di fare le memorie degli anziani di Reggio Emilia fruibili all’ascolto: alcuni testi sono divenuti audiolibri, reading teatrali, recite per le vie del centro e performances alla biblioteca Panizzi e sono in corso d’opera delle registrazioni per l’ascolto in streaming.

C’è davvero da augurarsi che il metodo della Locanda della Memoria di Reggio Emilia si diffonda anche in altri luoghi. Il valore sociale di questa iniziativa riguarda prima di tutto chi ha potuto raccontare le proprie esperienze e si è potuto sentire meno solo. Ma la ricchezza inestimabile del progetto è ancora più evidente con il passare degli anni: spesso per motivi sociali, economici o di semplice attenzione, molte di queste preziose testimonianze sono destinate ad essere perse. Con la Locanda della Memoria, invece, possono passare alle generazioni future: perché, come ci ricorda Gianpiero, “Si dice che quando muore un anziano, è come se bruciasse una biblioteca. Non avremo salvato la biblioteca alessandrina, ma 182 papiri li abbiamo salvati”.

Qui il documentario che racconta la storia della Locanda della Memoria di Reggio Emilia.

Battuto di cipolla, sedano, carota e burro. Carne tritata, sale e un po’ di pepe. Quand’è asciutto ci si mette il pomodoro e man mano del brodo. Un po’ prima di toglierlo, vi si mette del latte e un po’ di burro. Noce moscata.

Una bella idea per chi ha la fortuna di avere un quaderno di ricette di famiglia e desidera condividere le tradizioni culinarie di casa è scansionare le pagine per farne una stampa anastatica da distribuire in più copie. Oppure si può realizzare un libro di ricette trascrivendole e impaginandole con lo stile grafico che si preferisce.